lunedì 28 marzo 2011

IL COLORE DEGLI EDIFICI STORICI


Parlare di superfici e di colori dell’edilizia storica può facilmente condurre a interpretazioni controverse e forvianti. E’ facile, infatti, considerare la finitura come superficie bidimensionale con valore autonomo rispetto l’organismo di cui fa parte, soprattutto nel caso di decorazioni o affreschi.
In realtà essa è lo strato ultimo visibile di un organismo complesso e stratificato sul quale è collocata e per il quale è stata pensata. L’edificio che la accoglie è tridimensionale, caratterizzato da un’organizzazione spaziale interna (molto forte negli edifici storici); per esso la decorazione costituiva parte organica di completamento. Anche per le finiture o tinteggiature la considerazione non è molto difforme. La scelta delle coloriture e degli effetti percettivi con queste ottenibili erano valutati attentamente considerando l’esposizione delle pareti, gli effetti derivanti dall’illuminazione naturale etc.
La superficie decorata, colorata o affrescata è quindi parte di un insieme, al quale attribuisce valore aggiunto (percettivo, artistico, emotivo...) ma dal quale è imprescindibile. L’interazione e lo stretto rapporto con il substrato, con i materiali di cui questo è costituito, con l’esposizione alla radiazione solare e alle intemperie, con tutte le forme di degrado connesse all’edificio e al suo uso, diventano parte della storia della finitura.
Il colore in architettura non è un’idea astratta - Il colore è materia. Proprio la materia, la “ricetta” con la quale la finitura è confezionata, la tecnica esecutiva, l’interazione con il materiale di supporto, determinano diversità sostanziali di resa e di percezione del colore da parte del fruitore.
Storicamente questo era noto, tanto da essere definito nei trattati, insegnato nelle botteghe. Le fonti indirette ci hanno lasciato testimonianze fondamentali in tal senso: le ricette di confezionamento e di esecuzione delle finiture, affinate anche attraverso sperimentazioni ed errori. Ancora più importanti sono quelle rappresentate dal documento diretto, le numerose testimonianze materiche giunte sino a noi. Quelle che spesso, quando si tratta di coloriture o finiture a intonaco, vengono cancellate con superficialità.
Sono molte le variabili che determinano la matericità e la vibrazione di una finitura: il tipo di supporto sul quale è stata stesa, la differente tecnica applicativa del colore (buon fresco, mezzo fresco, affresco tardivo, tempera etc.) e il tipo di coloranti utilizzati (pigmenti organici – inorganici, naturali – artificiali...), la tinta utilizzata, il numero di mani, la presenza di velature progressive o no e così via.
Per la definizione di un colore e di una finitura di un edificio storico, oltre all’assoluta necessità di conservare le finiture originarie è importante conoscere e considerare le questioni sopra menzionate.
La maestria insita nelle finiture del passato, le “ricette” storicamente possibili, le tecniche esecutive storiche restano a testimoniarci che ogni colore o finitura porta con sé la sapienza con la quale è stato progettato, confezionato ed eseguito: perché il colore è materia.

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